
Robot musicisti che suonano, improvvisano musica o dirigono orchestre sinfoniche. Dalla storia degli strumenti automatici meccanici al futuro della creatività unito alla tecnologia. Come intelligenza artificiale e robotica si incontrano per produrre arte
Immaginatevi robot musicisti capaci di scrivere canzoni e di suonarle con variazioni estemporanee, oppure androidi che dirigono orchestre. Macchine che non hanno polpastrelli per sfiorare corde ma un numero indefinito di braccia, non dotate di cervelli sensibili ma di apprendimento automatico con cui raccontare emozioni di storie vissute dagli umani interpretando gli umori del pubblico. Non è fantascienza ma pura realtà.
L’uomo d’altronde è sempre stato stimolato nell’inventarsi strumenti musicali automatici e robot musicisti con meccanismi capaci di suonare da soli. Fare suonare le macchine non è solo un giochino moderno per ingegneri. Oggi la sfida dei ricercatori è utilizzare l’intelligenza artificiale portare l’esperienza musicale verso lidi inesplorati di esecuzione, composizione, didattica e rapporto con l’uomo. Riusciranno a farli suonare con una sensibilità umana?
Indice
- Storia degli strumenti automatici
- L’Orchestrion di Pat Metheny
- Robot musicista che improvvisa
- Robot direttore d’orchestra
- Pianisti robotici risuonano passato
Storia degli strumenti automatici
L’origine dei robot musicisti è vecchia più di un secolo, quando furono creati i primi pianoforti automatici che suonavano da soli grazie a sistemi meccanici e a rulli di legno o carta perforata. Ma già nel 1500 in Europa piccoli strumenti automatici venivano costruiti da maestri orologiai ed erano molto apprezzati da re e regine. Furono via via perfezionati, fino a quando, a metà dell’ottocento, si realizzarono addirittura strumenti come l’Orchestrion, l’Helios o il Panorchestrion capaci di imitare intere orchestre.
I primi robot musicisti meccanici erano enormi macchine pneumatiche dotate di pompe, mantici, leve e cilindri. Nel corso della storia della musica alcuni inventori si cimentarono nel tentativo di creare macchine per fare suonare strumenti a corde. Nel 1849, Ludwig Hupfeld di Lipsia inventò il Phonolistz Violina che imitava il violinista, con tre o sei violini. Da qui si svilupparono gli Orchestrion, macchine meccaniche create per riprodurre musica in modo da sembrare intere orchestre o band.
La storia degli Orchestrion risale ai primi del ‘900 con l’avvento del jazz. Non esistendo ancora la musica registrata su supporti musicali, per fare musica nei salotti, nei ristoranti o nelle sale da ballo, si utilizzavano i robot musicisti. Organi, pianoforti, percussioni, suonavano autonomamente come una intera orchestra, azionati da cilindri rotanti. I robot antichi hanno in sè l’idea di futuro che vediamo oggi sul web. Il robot chitarrista di questo video ha dita metalliche comandate via Midi da un computer che interpreta la partitura.
L’Orchestrion di Pat Metheny
Recentemente anche il grande chitarrista jazz Pat Metheny ha realizzato un progetto facendosi accompagnare sul palco da meccanismi elettromeccanici. L’idea dell’Orchestrion Project parte dal ricordo del nonno che aveva un player piano che riproduceva musica senza pianista mediante bobine di carta perforata. In questo caso invece c’è una band completa con robot percussionisti, suonatori di marimba, pianisti, bassisti automatici.
Tutti gli strumenti suonano realmente, come fossero tra le mani di un uomo. Non ci sono molle meccaniche come nei tempi antichi, ma solenoidi e apparecchi elettromeccanici che trasformano ogni nota suonata sulla chitarra in un movimento fisico. Tutto è reale, non c’è nulla di elettronico o sintetizzato. L’Orchestrion di Pat Metheny concilia il desiderio, comune ai grandi musicisti, di utilizzare suoni acustici e contemporaneamente essere innovativi.
Nell’album omonimo il chitarrista suona brani originali accompagnato dai robot musicisti. In questa impresa è stato aiutato da una equipe di tecnici ed inventori capitanati da Eric Singer della Musical Electronic Urban Robot. Uno dei problemi più grandi dei robot è relativo alla dinamica del suono, per fare in modo che il volume degli strumenti sia variabile all’interno della composizione.
Robot musicista che improvvisa
Tra i tanti esperimenti di robot musicisti creati dall’uomo c’è Shimon, sviluppato dal Georgia Tech Center for Music Technology. Non ha un cervello umano sensibile, istintivo e naturale, ma può ascoltare, imparare e capire cosa gli succede intorno. E’ costruito per collaborare con altri musicisti dando vita a vere e proprie jam session. Per ora non è nemmeno importante valutare se questo robot musicista riesca a suonare musica coinvolgente, bella e piacevole, o faccia del puro tecnicismo senza senso.
Il robot ha imparato 5000 canzoni a memoria con l’apprendimento automatico. Due milioni di singole melodie, riff di chitarra e fraseggi musicali scansionati con sofisticati algoritmi matematici: da Beethoven, ai Beatles, fino a Lady Gaga e Miles Davis. Questa macchina può reggere otto bacchette contemporaneamente e fare melodie e accordi su una marimba. E’ in grado di ascoltare i musicisti con cui suona e rispondere in modo logico, concentrandosi non tanto su ogni singola nota, ma sull’interplay per dare un senso compiuto all’intera esecuzione.
Sfidare l’uomo nel campo dell’improvvisazione musicale, è un’arte che richiede moltissimo talento, preparazione e sensibilità. L’intelligenza artificiale e i robot musicisti riusciranno in questa sfida? Shimon sembra volere spostare l’asticella più in alto, dove le macchine e vari progetti più o meno recenti come MusicNet o Magenta di Google non avevano ancora osato. E’ programmato per suonare musica imprevedibile, in qualche modo improvvisata, partendo da quanto precedentemente imparato.
Un percorso troppo simile a quello intrapreso dai jazzisti in carne ed ossa per non destare qualche sospetto sul futuro della musica. Prima o poi spunterà sulla terra un nuovo John Coltrane a batterie? Chissà. Tanti anni passati a studiare jazz, armonie e fraseggi possono forse essere imparati da un computer in pochi istanti, ma il genio artistico è imprevedibile, osa l’inosabile e va oltre la portata dei bit. Certo la sfida tra tecnologia e sensibilità non finisce qui.
Robot direttore d’orchestra
I robot musicisti vanno oltre il jazz fino alla musica classica: potranno anche sostituire i direttori d’orchestra? Un buon maestro è fondamentale ai fini dell’esecuzione di un brano orchestrale. Dirige e coordina i musicisti come fa un regista con gli attori di un film, li stimola per farli suonare nel modo ideale. Decide come interpretare un pezzo, velocità di esecuzione, attacchi, pause e respiro dell’esecuzione musicale.
Asimo (Advanced Step in Innovative Mobility) sarà stato davvero in grado di fare tutte queste belle cose? 52 chili per 120 cm di altezza, l’androide costruito dalla Honda è considerato il robot tecnologicamente più avanzato mai costruito dall’uomo. Dotato di sedici processori sparsi nel “corpo”, può offrire una gestualità del tutto naturale anche in un contesto difficile come quello artistico musicale.
Asimo ha la partitura memorizzata nella memoria digitale e sofisticati sensori che gli consentono di sentire il ritmo, mentre guarda e coordina i vari strumenti e musicisti maneggiando liberamente la bacchetta. Il tutto muovendosi con disinvoltura, grazie ad un sistema predittivo che fa spostare il suo centro di gravità con un anticipo di pochi microsecondi rispetto ai movimenti.
Pianisti robotici risuonano passato
I robot musicisti possono aiutare anche a riscoprire il passato per migliorare il suono delle vecchie registrazioni quando il master originale è irrimediabilmente compromesso. Nella musica classica, così come nel jazz, esistono infatti molti nastri originali di grandi pianisti del passato, da Glenn Gould a Monk a molti altri ancora, il cui grande valore artistico viene però inficiato dalla bassa qualità delle registrazioni.
Glenn Gould ha registrato le variazioni Goldberg di Bach nel 1955. Un capolavoro senza tempo, se non fosse per la registrazione mono. Portare a nuova vita questa esecuzione, magari con un suono ad alta definizione, sembrerebbe impossibile. Eppure il giochetto è riuscito a Zenph Sound Innovations, una società americana di software specializzata nella creazione di algoritmi e processi di comprensione che comprende un team di ingegneri, ricercatori e musicisti professionisti.
Mediante sofisticati software ogni sfumatura delle vecchie esecuzioni originali viene tradotta in file Midi ad alta risoluzione e poi fatto nuovamente suonare a pianoforti robotici con tasti comandati da sistemi elettromeccanici. Oltre a Glenn Gould sono state registrate copie perfette di dischi di alcune leggende della musica classica come Sergei Rachmaninoff e di pianisti jazz come Oscar Peterson e Art Tatum.
Il processo è molto interessante per le case discografiche che possono ottenere nuove copie perfette dei dischi in catalogo interpretati dai miti del passato. Le nuove registrazioni hanno una qualità sonora perfetta e sembrano esattamente identiche a quelle originali. I pianoforti robotici si sono esibiti anche in concerti dal vivo alla Carnegie Hall, alla Steinway Hall e al Lincoln Center. Dopo il pianoforte gli ingegneri stanno lavorando per ricreare robot per suonare tutti gli strument di una jazz band.
L’intenzione è unire reale e virtuale per dar vita a nuovi progetti in cui musicisti contemporanei in carne ed ossa possano suonare con i robot che emulano in tutto e per tutto lo stile dei grandi interpreti del passato. Nel metaverso sarà necessario pensare anche a nuove tipologie di contratti di licenza e di gestione del copyright. Gli artisti famosi o i loro eredi potranno cedere solo lo stile che li contraddistingue, magari standosene comodamente seduti in platea ad ascoltare il loro avatar che suona dal vivo.