
Perché proviamo piacere dalla musica e abbiamo diverse sensibilità al linguaggio musicale? Oltre a formazione culturale e gusti personali, scopriamo da cosa dipendono i meccanismi neurali con cui il cervello reagisce all’ascolto dei suoni
Ogni persona prova piacere dalla musica in modo diverso. C’è chi si accosta al linguaggio musicale in modo superficiale accontentandosi di canzoni leggere o di generi musicali semplici e ripetitivi per ballare o divertirsi. Altri invece passano la vita ad approfondire il linguaggio per capire i misteri delle note e dell’armonia. C’è chi ha forti risposte emotive agli stimoli sonori e freme ad ogni nota fino a provare brividi e nodi alla gola per una interpretazione particolare.
Cosa c’è di diverso in chi ascolta musica trap e Bach? Sì potrebbe pensare che la capacità di provare emozioni nell’ascolto o visione di un’opera d’arte sia dovuta all’educazione e all’ambiente di riferimento in cui si è nati e cresciuti. Ma le cose non sono così semplici come sembra. Oltre a stabilire il significato di opera d’arte è necessario porsi una domanda: cos’è il piacere della musica? Rispondere è una sfida che affascina la scienza.
Indice
- Cos’è il piacere della musica?
- Sistema di ricompensa e piacere
- Piacere della musica nel dna
- Effetti musica sul cervello
- Meccanismi neurali evolutivi
- Musicofilia e percezione dei suoni
- Piacere musica soggettivo
- Ascoltare è selezionare
- Piacere della musica e sessualità
- Affinità elettive musicali
Cos’è il piacere della musica?
Il piacere della musica spiegato in termini generazionali non basta a convincere del tutto gli studiosi. Studiare musica, suonare uno strumento e approfondire il linguaggio musicale, ha una forte componente familiare: se i genitori sono appassionati e ascoltano buona musica, ci sono buone probabilità che lo facciano anche i figli da adulti. Ma non è detto che i figli d’arte abbiano particolare talento, sensibilità musicale o la musica nel sangue.
C’è chi crede che la capacità di provare emozioni dai suoni dipenda da fattori biologici e da un diverso dna. Se anche da un punto di vista emozionale tutto dipendesse da una diversa conformazione del cervello che parte dalle origini? Svelare il rapporto tra musica e cervello è anche un modo per capire come si è sviluppato il linguaggio musicale nella società fin dai tempi più remoti e quale sia il ruolo dei suoni nell’evoluzione dell’uomo e dei suoi comportamenti.
Malgrado tutte le scoperte scientifiche di questi anni l’atto creativo del comporre musica resta un mistero. Sono sconosciuti tanti aspetti che diamo per scontati, ma non lo sono affatto. Ad esempio perchè la musica crei piacere, cosa la renda diversa dal rumore, che rapporto abbiano le altezze delle note con la voce e il ritmo con il battito del cuore. Si tratta delle origini evolutive dell’estetica umana. Tutto parte dal comprendere come i bisogni primari dell’uomo siano soddisfatti dal cosiddetto sistema di ricompensa.
Sistema di ricompensa e piacere
Il sistema di ricompensa è un insieme di risposte cerebrali che sono innate nell’uomo e che permettono di soddisfare dei bisogni. I bisogni primari vengono soddisfatti attuando determinati comportamenti che provocando piacere vengono ripetuti in modo naturale. Fanno parte di questa categoria alcuni piaceri sensoriali associati a cibo, sesso e droghe. Il sistema di ricompensa si attiva anche nelle funzioni sociali. Ad esempio stiamo bene quando collaboriamo con qualcuno o troviamo una motivazione o uno scopo nel condividere le nostre esperienze.
Un piacere irrefrenabile lo proviamo anche controllando decine o centinaia di volte al giorno lo smartphone per vedere se qualcuno ha messo un like ad un messaggio su Facebook. Si tratta di abbagli a cui l’uomo cede volentieri rischiando una vera e propria dipendenza da cellulare non inferiore a quella di altre sostanze stupefacenti. Avere consapevolezza sui rischi delle nostre azioni è fondamentale, dato che siamo programmati per avere un vantaggio evolutivo dai nostri comportamenti. Viceversa le conseguenze della ricerca del piacere non tardano ad arrivare.
Quello che può confonderci, come avviene negli Hikikkomori che si perdono nella navigazione online dimenticando la vita reale, è la dopamina. Questo neurotrasmettitore viene prodotto nel cervello in diversa quantità a seconda delle esperienze provate. L’uomo ne produce una quantità maggiore rispetto a scimpanzé e gorilla, fino al punto che gli esseri umani provano piacere anche in risposta a stimoli di ordine superiore ed estetici, che non danno un chiaro vantaggio evolutivo. Ad esempio si emozionano guardando un’opera d’arte o ascoltando della musica.
Piacere della musica nel dna
Il piacere della musica può essere strettamente connesso all’attaccamento ai genitori o a un gruppo. Si comincia ascoltando ninne nanne cantate dalla mamma per aumentare l’attaccamento al bimbo, fino alle musiche e alle danze tribali. Questo aspetto però non è l’unico a determinare il rapporto che abbiamo con la musica nel corso della vita. Oltre alle esperienze d’ascolto potrebbe esistere un tratto biologico scritto nel patrimonio genetico che va oltre l’appartenenza sociale e all’ambiente in cui viviamo.
Recenti studi genetici hanno dimostrato che oltre all’educazione c’è una certa dose di familiarità nell’essere stonati piuttosto che nell’avere l’orecchio assoluto o una particolare musicalità e predisposizione a suonare o comporre musica. Che esista un meccanismo innato che va oltre l’educazione del gruppo di riferimento sembrano dimostrarlo i risultati di uno studio condotto dal professor Irma Järvelä del Dipartimento di genetica e biologia molecolare dell’Università di Helsinki.
La ricerca ha analizzato i comportamenti di 437 individui dagli 8 ai 93 anni, scelti a caso tra musicisti professionisti o dilettanti, e persone senza alcuna istruzione musicale. Per definire le abitudini nell’ascoltare musica è stata analizzata sia l’attitudine all’ascolto attivo e attento, che a quello passivo di musiche di sottofondo, avvenuta in contemporanea all’analisi del DNA. Innanzitutt si è riscontrato una media di 4,6 ore di ascolto attivo e 7,3 ore di ascolto passivo.
Poi è stata verificata un’associazione tra il recettore del vasopressore arginina (AVPR1A), un aminoacido essenziale alle funzioni dell’organismo, e la propensione individuale all’ascolto della musica. Ciò suggerisce un contributo biologico alla percezione del suono e all’ascolto musicale e fornisce una prova molecolare sul ruolo della musica nella comunicazione sociale e nell’evoluzione della specie umana.
Effetti musica sul cervello
Gli effetti della musica sul cervello umano sono davvero molti e coinvolgono molti aspetti del vivere quotidiano. Il linguaggio dei suoni all’ascoltatore trasmette emozioni, mentre compositori e musicisti lo utilizzano per esprimere idee. La musica può essere un importante mezzo di coesione sociale e di identità personale piuttosto che un veicolo di marketing. Insomma non sono solo canzonette, tanto che l’importanza della musica a livello fisico e psicologico stimola gli scienziati a scoprire come i suoni possano modificare le funzioni cognitive.
Recenti scoperte affermano che gli effetti della musica a livello emotivo e fisico sono paragonabili a quelli di una droga naturale. Gli scienziati si stanno chiedendo se ciò avvenga a causa di un adattamento del cervello all’evoluzione dei suoni, o se questa particolare sensibilità, da non confondersi con l’orecchio musicale, sia già ben presente nel cervello dell’uomo.
Esistono meccanismi neurali specifici dedicati alla percezione della musica che può essere ascoltata, suonata o semplicemente immaginata se associata a ricordi o emozioni? Il dubbio viene pensando anche a Beethoven che, anche una volta completamente sordo, continuò a scrivere la musica che risuonava solo nella sua mente. Gli scienziati hanno verificato che ogni suono o rumore corrisponde ad un unico modello di risposta neuronale, di cui uno ben chiaramente dedicato alla musica.
Meccanismi neurali evolutivi
La risposta definitiva su come la musica possa influire sul funzionamento del cervello umano è stata ottenuta dal MIT research scansionando con la risonanza magnetica funzionale il cervello di 10 persone. Il sistema uditivo del cervello è particolarmente difficile da mappare e il “voxel”, la più piccola unità di misura della risonanza, misura la reazione di centinaia di migliaia o milioni di neuroni. Con una particolare tecnica gli studiosi sono riusciti a identificare e isolare la risposta di sei popolazioni neuronali.
Tra i 165 suoni dell’esperimento c’erano brani musicali, voce umana e suoni ambientali come passi, motori di automobili, suonerie di telefono, canto degli uccelli e altri rumori ancora. Alla fine i neuroscienziati sono arrivati alla conclusione che nella corteccia uditiva umana esistano funzioni dedicate esclusivamente ai suoni organizzati, che si differenziano da quelle usate per elaborare la voce umana o i rumori ambientali.
Questa scoperta sembra confermare l’ipotesi evolutiva nel rapporto uomo musica e apre nuove interessante prospettive di studio per gli scienziati. Ora si tratta di capire se esistano aree del cervello coinvolte nella trasformazione della musica in emozioni, piuttosto che nella comprensione di armonia, melodia e ritmo. In futuro si cercherà di definire con esattezza se l’esperienza musicale sia innata o frutto di una esperienza soggettiva alla musica e all’ascolto.
Musicofilia e percezione dei suoni
Una importante testimonianza sugli effetti della musica sul cervello arriva da Oliver Sacks, celebre neurologo che tra i tanti interessi aveva proprio la musica. Musicofilia, bellissimo libro uscito per Adelphi nel 2008, è un viaggio alla scoperta del rapporto tra mente, uomo e musica, raccontato attraverso le esperienze dei suoi pazienti. Una raccolta di 29 racconti che analizzano gli effetti dei suoni a livello emozionale e motorio.
Il libro analizza casi in cui l’immaginazione musicale diventa addirittura patologica e un motivetto diventa un tarlo che si ripete senza sosta nella mente per giorni e giorni. Ecco allora la possibile esistenza di agenti musicali cognitivamente infettivi, i cosiddetti tormentoni, brani ripetitivi di cui tutti siamo vulnerabili, ma che hanno maggiore effetto su persone affette da determinate condizioni neurologiche.
C’è chi prova le allucinazioni musicali e non smette mai di sentire musica come avesse delle cuffiette nel cervello. Alcune persone traggono piacere dalla musica, ma altre vengono tormentate da sibili, fischi, rozii e acufeni. Non si parla solo di musica suonata dalla mente, lo studioso ha cercato di definire i contorni del linguaggio musicale e della percezione dei suoni, tra musicalità, orecchio assoluto e amusia, ovvero l’incapacità di riconosce le note e la musica tipica degli stonati.
Grazie alle testimonianze dei suoi pazienti, a volte davvero sorprendenti (tra cui spicca quella di Tony Cicoria, chirurgo americano che sviluppa una amore improvviso per il pianoforte solo dopo essere stato colpito da un fulmine), Sacks riconsidera una serie di interrogativi e si fa delle domande che mai ci saremmo posti. Ad esempio perchè abbiamo due orecchie..? Queste curiose domande aprono nuove prospettive anche per l’utilizzo della musicoterapia nella cura di alcune disfunzioni e malattie neurologiche.
Piacere musica soggettivo
Le risposte estetiche del cervello umano in relazione a stimoli sonori sono state studiate in modo molto approfondito anche in una ricerca pubblicata su Social, Cognitive and Affective Neuroscience, una famosa rivista di neuroscienze americana. Alcuni volontari sono stati sottoposti ad un test in cui la risposta fisiologica, conseguente all’esperienza estetica, è stata correlata alla scansione del cervello. Le analisi, effettuate con una speciale tecnica denominata Dti con sensore di diffusione, hanno confermato che le persone reagiscono agli stimoli sonori in modo molto diverso.
Il piacere della musica sembra dipendere quindi dai meccanismi del cervello. Sensazioni come brividi e formicolii lungo la schiena o sul cuoio capelluto sono presenti in individui con un maggior volume della connettività della materia bianca. Sembra insomma che in determinate persone esistano connessioni più forti tra il sistema uditivo del cervello e le aree correlate alle emozioni. Ciò avviene indipendente da altri parametri educativi, comportamentali e psicofisiologici. La musica ha riflessi sul sistema neurovegetativo, condiziona l’umore e lo stato di benessere.
Ascoltare è selezionare
Un contributo interessante sulla ricerca del senso del bello, sul significato di opera creativa e sul rapporto tra musica e cervello lo si trova anche nel libro I neuroni magici (ed. Carocci). Si tratta della conversazione di tre grandi personalità che nel corso della vita hanno studiato e approfondito ai massimi livelli l’argomento. Se c’è una cosa che accomuna il pensiero del direttore d’orchestra Pierre Boulez, del compositore contemporaneo Philippe Manoury e del neurobiologo Jean Pierre Changeux, è proprio il desiderio di andare oltre l’ostacolo offrendo nuovi spunti su cui riflettere.
Gli studiosi parlano di molecole e sinapsi ma non è certo un trattato scientifico, dato che prende in esame il concetto d’arte più in generale. Il rapporto tra musica e cervello è affrontato nella sua complessa varietà. Al di là dei generi e dei gusti personali, si cerca di capire cosa spinga un compositore a mettere insieme delle note in un certo modo e il pubblico a stare seduto su una sedia ad ascoltarle.
I tre maestri partono dalla matematica e fisica passando da Darwin, per arrivare al gradimento di un’opera d’arte e al suo valore simbolico o commerciale. Prendono in esame anche i suoni degli animali e della natura per capire quanto siano importanti senso di ricompensa, sorpresa e memoria nel condizionare il gusto musicale degli ascoltatori in modo più o meno consapevole. Ma c’è una questione fondamentale che riguarda l’estetica delle cose ed è legata alla formazione.
Come sarebbe la musica e il mondo stesso se tutti avessero la possibilità di riflettere sull’importanza del linguaggio musicale? Tra predisposizione innata scritta nei geni o percorso frutto di educazione, una cosa è certa: ogni istante della vita siamo bombardati da musica di tutti i tipi e spesso ascoltiamo note prive di significato o poco sensate. Ma un uomo adulto nel cervello ha a disposizione 85 miliardi di neuroni per non rassegnarsi al peggio di un bombardamento incessante di sottofondi inutili, se non di canzoni stupide e di scarsa qualità.
Piacere della musica e sessualità
Se parliamo di ‘piacere’ forse anche in questo campo la musica può aiutare. Ascoltare la propria musica preferita come abbiamo visto preferita libera dopamina, un neurotrasmettitore prodotto anche quando si mangiano cibi particolarmente invitanti o durante i rapporti amorosi. Ansia da prestazione o calo del desiderio? Alcuni ritmi musicali hanno il potere di modificare i movimenti e la chimica del corpo, il respiro e il battito cardiaco.
E poi, al pari di un rapporto di coppia, un duetto musicale si svolge con una fase di eccitazione, un picco e una quiete. Ascoltare musica incoraggia l’espressione di sentimenti bloccati rendendo più sciolte le relazioni tra partner e sciogliendo le inibizioni. Quale genere migliore? La musica classica è una potente alleata, come la bossanova, le canzoni romantiche o la musica soft.
Sembra che nei giovani la musica rock ad alto volume, oltre a rovinare l’udito, possa abbassare i freni inibitori. Perfino Spotify ha effettuato uno studio con sofisticati algoritmi per trovare una playlist perfetta per aumentare il piacere sessuale. Analizzando 28 milioni di brani ha scoperto che sono proprio gli uomini, nella maggioranza dei casi, a creare playlist a tema romantico.
Affinità elettive musicali
E se il piacere della musica fosse condividere delle canzoni? Vi ricordate le famose affinità elettive del romanzo di Goethe? Più o meno diceva che due persone si incontrano in base alla comunanza di esperienze e idee. Condividere i gusti musicali fa parte di questa supposta sintonia da cercare nell’anima gemella? Certamente sì. La musica è stata sempre una grande fabbrica di identità personale.
Quando esistevano i supporti fisici, appena entrati in casa di qualcuno si dava una sbirciata alla raccolta di dischi, CD (o libri) per scoprire quali gusti avesse l’ospite. Ma ancora prima dell’ascolto c’era un rituale che cominciava nel negozio dove i dischi venivano acquistati, fatto di melodie, testi ma soprattutto di uno stile che diventava modo di vestire ben definito in ogni genere musicale.
In piena era digitale i maggiori servizi di streaming cercano di recuperare un pò di quelle tradizioni, ad esempio con le partnership tra Spotify, Tinder ed altri siti di incontri. Se oltre a scoprire nuove canzoni c’è la possibilità di fare incontri piacevoli, il numero di abbonati non può che aumentare aumentare. Insomma, siamo sempre e comunque quello che ascoltiamo e provare piacere, è meglio essere in compagnia.