
Come funziona il rapporto tra musica ed emozioni? Le sensazioni che proviamo dipendono dalle caratteristiche dei brani, dalle capacità di ascolto e dall’espressività degli interpreti. Il ruolo del respiro dei musicisti e del cervello nel percepire sensazioni sonore
Il rapporto tra musica ed emozioni ha sempre affascinato l’uomo come tutte le cose misteriose. La musica è un linguaggio con un vocabolario e una sintassi in grado di trasmettere emozioni che contrariamente al linguaggio verbale non sono mai ben definite. Gli stati d’animo evocati da note, armonie e ritmi dipendono da mille fattori oggettivi e soggettivi in fase di composizione, esecuzione ed ascolto.
Musicisti, musicologi e scienziati cercano di comprendere il piacere della musica e perchè un brano possa fare innamorare, sognare, volare con la fantasia, annoiare o fare riemergere ricordi. Tra musica ed emozioni entrano in gioco matematica, estetica, sociologia ma nel decifrare i suoni ha un ruolo la natura personale e l’educazione musicale con conseguenze sulla definizione del bello che condiziona anche l’evoluzione dell’arte.
Indice
- Musica ed emozioni
- Emozioni soggettive o oggettive
- Comporre emozioni musicali
- Musica ed emozioni al computer
- Espressività ed interpretazione
- Il respiro della musica
- Le emozioni dello streaming
Musica ed emozioni
Le origini del rapporto tra musica e emozioni nell’uomo sono antichissime. Sono serviti decine di migliaia di anni per passare dalla capacità di percepire rumori per difendersi dai pericoli, ascoltare grida per comunicare in lontananza o provare stupore davanti all’eco delle caverne, ai suoni melodiosi legati al significato di trascendenza fino alla percezione estetica tonale. Le più recenti ricerche in ambito neurologico si concentrano sull’aspetto evolutivo dell’ascolto.
Sembra che solo alcune aree del cervello siano correlate all’aspetto emozionale dei suoni, mentre altre verrebbero impegnate nella comprensione delle caratteristiche del linguaggio musicale a livello di armonia, melodia e ritmo. In ogni caso le emozioni nella musica sono soggettive. Ascoltando un determinato brano pop, jazz o classico, ognuno di noi prova sensazioni differenti anche totalmente opposte.
Emozioni soggettive o oggettive
Per due ascoltatori diversi una sonata di Bach può aprire le porte del paradiso o essere il migliore dei sonniferi. La stessa cosa vale per qualsiasi genere musicale: quando è l’orecchio a comandare, la linea di demarcazione tra piacere e fastidio è sottile. Gli scienziati vogliono capire la ragione di queste differenze, se hanno una ragione geografica e sociale di riferimento. La musica tonale ad esempio è l’unico linguaggio naturale capace di suscitare emozioni?
Avvalora la tesi il fatto che molti uccelli fischino melodie basate sulle scale occidentali. Un gruppo di ricercatori della Berkley University ha realizzato un test coinvolgendo 2000 persone tra cinesi ed americani a cui sono stati fatti ascoltare centinaia di brani diversi con 13 connotazioni emozionali come ansia, gioia, noia, meraviglia ecc.. Alla fine sono emersi solo due sentimenti universalmente riconosciuti dalle due popolazioni, gioia e trionfo, mentre le altre emozioni erano più divisive.
Comporre emozioni musicali
Se non è chiaro come il cervello elabori segnali fisici come le onde sonore e li converta in emozioni, è però certo che nel linguaggo musicale esistano forme, passaggi, armonie e giri di accordi universalmente considerati felici, tristi, disperati o speranzosi. Le cosidette canzoni tristi ad esempio possono suscitare sensazioni anche gradevoli di conforto, ma certamente chiuque le distinguerebbe dalle canzoni allegre.
Comporre emozioni musicali non è una tecnica sfruttata solo dai musicisti moderni, tanto che già nell’antica Grecia o nella musica medioevale i compositori usavano solo particolari scale doriche o frigie che sembravano più legate a determinati stati d’animo, ad esempio ombrosi o inquietanti. L’avere infranto determinate regole nel corso della storia della musica ha radicalmente cambiato le sensazioni trasmesse al pubblico.
Da Bach a Mozart fino a Beethoven, Wagner o Debussy, la sfida dei compositori é sempre stata aggiungere ingredienti alle armonie e alle melodie magari anche attraverso l’uso di figure ritmiche (che poi diventeranno i cosidetti riff del rock) in grado di aumentare il pathos generato negli ascoltatori. I mezzi di espressione della musica sono infiniti e gli effetti sul cervello li proviamo ogni volta che ascoltiamo un brano emozionante.
Musica ed emozioni al computer
L’intelligenza artificiale sta facendo passi da gigante anche in ambito musicale e gli esperimenti più recenti sfruttano l’apprendimento automatico per creare musica. Ma più semplicemente sarà capitato a tutti di ascoltare musica dal vivo suonata elettronicamente, ad esempio con i Midi File. La domanda diventa quindi è necessaria: se a suonare è un computer la musica è in grado di emozionare come se suonasse un uomo?
Non servono facoltà innate o una specifica educazione musicale per smascherare un falso musicista. Uno studio condotto dal Max Planck Institute for Human Cognitive and Brain Sciences ha dimostrato che anche per un pubblico poco esperto esistono differenze rilevanti tra le emozioni trasmesse da brani eseguiti elettronicamente oppure suonati dall’uomo, la sola musica in grado di scatenare reazioni a livello cerebrale e quindi di emozionare.
Monitorando l’attività del cervello a degli ascoltatori non musicisti, è stato verificata una diretta correlazione tra stimoli musicali e attività cerebrale. L’attività del cervello è molto più intensa quando suonano musicisti reali piuttosto che computer. Il dottor Stefan Koelsch ha spiegato che le risposte neuronali sono molto più definite se i passaggi musicali vengono eseguiti con ‘espressione musicale’.
Ci sono reazioni neurologiche ai cambi di tonalità o di accordi che i bravi interpreti possono amplificare. Sembrano conclusioni ovvie, ma non è poi così banale sapere che l’uomo ha una naturale possibilità di difendersi dal rumore o dalla cattiva musica. I musicisti reali sono gli unici ad avere la possibilità di raccontare storie davvero emozionanti. Scegliere con cura cosa ascoltare è molto importante per il pubblico che viceversa spesso fa scelte inconsapevoli.
Espressività ed interpretazione
I sottofondi banali e monotoni in cui ci imbattiamo quotidianamente non sono fatti per emozionare, forse per divertire, ballare, o peggio per vendere qualcosa. Quello che amiamo ascoltare viene influenzato anche da fenomeni identitari con il gruppo dei pari. La neurobiologia sostiene che l’esperienza di ascolto del pubblico diventa estetica ed emozionale in presenza di una attenzione specifica che stimola la produzione di dopamina e serotonina.
Le esperienze soggettive, personali o di gruppo contano sempre quando parliamo di musica ed emozioni, ma quanto conta l’interprete? Indipendentemente dai gusti musicali, qualcuno crede che un bravo musicista sia quello che muove le mani velocemente sul proprio strumento, o che un bravo cantante debba necessariamente avere una voce potente o un vibrato perfetto.
Avere una buona tecnica è importante nella musica come in ogni altro settore professionale, ma solo i veri talenti sanno emozionare usando naturalezza e consapevolezza. La naturalezza è puro talento, è sapere usare il linguaggio musicale in totale relax usando note ritmo, cadenze e accenti naturali, come fossero parole. La consapevolezza invece arriva con lo studio e la passione. Sono tutte le ore, mesi o anni passati davanti allo strumento a coltivare un fiore così delicato e fragile da avere bisogno degli altri per continuare a crescere.
Il respiro della musica
Parlando di naturalezza, consapevolezza e interpretazione musicale in grado di emozionare, non si può che parlare anche del respiro della musica. La respirazione è una metafora dell’espressione musicale che entra e fuoriesce dal corpo di musicisti e cantanti e ne scandisce pause, attese e movimenti. Molto più del semplice ritmo biochimico che serve all’uomo ad incamerare aria, la respirazione è una forma espressiva essenziale per chi suona.
La tecnica di respirazione non è fondamentale solo per i cantanti o gli strumenti a fiato che con la respirazione circolare possono mantenere un suono continuo, ma è un concetto filosofico spirituale ed artistico che riguarda ogni singolo strumento musicale, gli ensemble di musicisti, le orchestre, i cori o i direttori d’orchestra. Respirare non è solo alla base della vita e del ciclo dell’universo, ma è tra le parti più importanti del linguaggio musicale.
Il respiro della musica contiene la vera anima del musicista ed è una caratteristica assolutamente personale, misteriosa e magica. E’ l’idea che dall’inconscio prende forma e da intenzione interna diventa suono reale, è la tensione che si risolve e prende fiato. Per i musicisti che ne sono consapevoli c’è qualcosa di più oltre alla tecnica per emozionare e comunicare con il pubblico.
Le emozioni dello streaming
Il rapporto tra musica ed emozioni non solo non smette mai di stupire musicisti, scienziati e neurobiologi, ma potrebbe avere un ruolo fondamentale anche nelle logiche di mercato della musica in streaming e in molti altri campi di applicazione. Dato che le piattaforme studiano sempre nuovi sistemi per suggerire nuove canzoni, cosa c’è di meglio delle emozioni per fare ascoltare agli utenti brani adatti?
In questo caso però non si tratta di playlist create dagli algoritmi in base all’umore, ma di stabilire in anticipo lo stato emozionale degli utenti attraverso l’ascolto della loro voce per suggerire la musica giusta. Spotify avrebbe già brevettato questa tecnologia di riconoscimento delle emozioni suscitando ampie polemiche per questioni relative alla privacy. Conoscere lo stato d’animo di una persona potrebbe permettere di vendere con più facilità non solo le canzoni, ma anche prodotti e servizi di ogni tipo.