Musica e denaro hanno sempre percorso strade parallele ma nel corso della storia il mestiere del musicista è molto cambiato dal punto di vista economico. Comporre o suonare è un lavoro, ma quanto guadagnano gli artisti nell’era dello streaming?

Tutti sappiamo che la musica è emozione, divertimento e passione. La capacità di sentire ed elaborare suoni in linguaggio fa parte dell’evoluzione dell’uomo. Per questo quando ascoltiamo Mozart in teatro o un successo dei Coldplay in streaming non riflettiamo mai sul fatto che dietro a compositori, musicisti, concerti e album ci siano i soldi. Il rapporto tra musica e denaro invece aiuta a comprendere l’evoluzione dell’arte.

La musica è sempre stata usata come forma evocativa di potere religioso, politico ed economico: dall’eco delle caverne al rock di protesta, dai rituali sonori primitivi fino ai nobili e al clero che stipendiavano i musicisti per ostentare prestigio sociale e culturale. Poi nel ‘900 le tecnologie di registrazione hanno creato una vera industria delle canzoni. In che modo musica e denaro si sono condizionate nei secoli fino ad oggi?

Indice

Senso della musica e denaro

L’idea che la musica sia fatta solo di bellezza, ritmo, armonia, divertimento è molto suadente, romantica e la rende popolare a tutti. Dalla più tradizionale ballata folk fino all’opera concettuale di un compositore moderno, ognuno si può identificare in un genere musicale più affine alla propria personalità. Eppure il fatto che anche i generi siano stati inventati dal mercato fa comprendere come nella musica esista un rapporto tra offerta e consumo.

musica in vinile

In effetti nel corso della storia, musica e denaro sono costantemente intrecciati e non solo a vantaggio dei musicisti. Molti faticano a comprendere la professione del musicista nella sua concretezza, forse condizionati ancora dal mito rock dei bei tempi andati. Ma se i musicisti non potessero mantenersi suonando e registrando opere musicali, tutti ne soffrirebbero. Ognuno ha bisogno di ascoltare canzoni per vivere momenti indimenticabili, passioni, ricordi o semplicemente per provare emozioni.

Ma vi siete mai chiesti quanti dischi debba vendere un musicista o il numero di ascolti in streaming che un artista indipendente deve raggiungere per guadagnare un minimo stipendio mensile? Vivere di musica non è mai stato facile e di questi tempi lo è ancora meno. Non che il resto della popolazione se la passi troppo bene, ma vendere musica è sempre stato il sistema dei musicisti per guadagnarsi uno stipendio fin dai tempi di Beethoven.

Musica e denaro nella storia

Quando è nato il rapporto tra musica e denaro? La possibilità di guadagnare con la musica, trasformando opere scritte o registrate in mezzo di sostentamento, è un fenomeno dell’epoca moderna che va ben oltre l’origine evoluzionistica legata al mondo dei suoni. Se per i greci la musica era la legge morale in grado di arrichire l’animo, nel medioevo veniva usata nei riti religiosi e i cantori di corte già percepivano del denaro.

Dal 17 esimo secolo era la chiesa a pagare musicisti geniali come Johann Sebastian Bach, commissionando opere e cantate religiose in grado di estasiare ed attrarre fedeli. Fino ad allora la musica era suonata sul momento richiesta da un committente. La possibilità di vivere di musica non estemporanea, ma basata su un lavoro di invenzione e scrittura musicale, si impose nel rinascimento con l’editoria musicale. Beethoven fu il primo tra i grandi compositori a vendere agli editori spartiti e manoscritti delle sue opere a cavallo dell’800.

Nel ‘900 il progresso tecnologico creò l’industria discografica. L’invenzione del grammofono e via via le successive evoluzioni dei supporti musicali consentirono la nascita del mercato della musica registrata da cui ha preso forma il moderno mestiere di musicista. Per accontentare ogni tipo di pubblico si crearono i generi musicali. Pop, rock, jazz sono parole che intercettano i gusti del pubblico consumatore e hanno anche un grande ruolo nel definire l’identità personale.

Il rapporto tra musica e denaro subisce una ulteriore evoluzione negli anni ’60 quando con i Beatles entra in gioco anche il mito. Negli anni ’70 si aggiungono gruppi come Rolling Stones, Pink Floyd e tanti altri artisti che interpretano la protesta giovanile. Il giro d’affari complessivo dell’industria discografica dell’anno 1973 supera i 4,5 miliardi di dollari con oltre 800 milioni di album venduti. Il picco di fatturato si ha negli anni ’90 quando alle canzoni si lega la moda: nel 1996 l’industria discografica mondiale fattura 39,6 miliardi di dollari.

Musica e denaro su internet

Il nuovo secolo si apre sotto l’egida di internet che si annuncia come una vera rivoluzione in termini di innovazione anche in campo musicale, in particolare come mezzo per scoprire il merito e premiare il talento. Come prima cosa però scatena il fenomeno della pirateria musicale che fa entrare il mercato discografico in crisi: nel 2014 il fatturato è di 14,4 miliardi di dollari. All’offerta di mp3 gratis del peer to peer l’industria contrappone lo streaming e le conseguenze non mancano.

Le piattaforme in streaming sono sostenute dalla finanza, offrono musica quasi gratis e pagano pochissimo i musicisti. Prodotto e promozione si sovrappongono, le canzoni diventano un mezzo per acquisire dati personali e click che consentono di veicolare gli ascoltatori verso merchandising e prodotti di ogni genere. Non sono più dischi e nuove idee a produrre denaro, ma i cataloghi dei vecchi artisti, contesi dai fondi di investimento a suon di centinaia di milioni di dollari.

Le grandi star a contratto con le multinazionali diventano marchi che producono ricchezza. Per i piccoli artisti nell’era dei social fare il musicista e vivere di musica è ancora più difficile che dei decenni precedenti. Tutti si filmano su YouTube e postano video sui social, ma come ha detto Giordano Sangiorgi, direttore del Festival delle Etichette Indipendenti, lo streaming ha trasformato artisti e professionisti in una ‘classe operaia sfruttata e malpagata’.

Guadagni con lo streaming

La musica in streaming è una invenzione perfetta per ascoltare canzoni senza spendere un soldo. Per vendere musica online solo le star di livello nazionale o mondiale possono permettersi strutture che affrontano tutti gli aspetti del business sia a livello di distribuzione che di social e comunicazione. Piccoli produttori indipendenti, artisti o band che vogliano essere presenti sulle maggiori piattaforme di download o streaming devono affrontare nuovi costi.

Per vendere musica online sulle piattaforme più famose (Apple Music, Spotify, Google Play, Deezer e via dicendo), oltre ad una percentuale sulle vendite, per ogni brano pubblicato deve essere versata una tassa ad apposite società di servizi che si occupano di distribuzione online come Cd Baby, Reverb Nation, The Ochard. Stiamo parlando di qualche decina di euro per un album, più il 9-30% di commissione sugli eventuali diritti incassati.

Ma quanto si guadagna con Spotify? Per 1 ascolto in streaming della durata minima di 30 secondi, un artista guadagna circa 0,019 centesimi di dollaro. Se un brano viene ascoltato 100 mila volte su Spotify in versione gratuita, l’autore riceve quindi circa 19 dollari, che diventano circa 60 dollari se gli ascolti sono fatti da utenti abbonati. Apple Music e gli altri servizi applicano tariffe simili.

Se quelle viste in precedenza sembrano cifre ridicole, Spotify, il maggiore tra i servizi di streaming musicale, ogni anno dice di versare miliardi di dollari in diritti e royalties ad artisti, autori ed etichette discografiche. Quindi chi ci guadagna? Secondo le ultimi analisi, su 8 milioni di produttori di contenuti, raggiungono i 50 mila dollari 16 mila artisti, 10 mila toccano i 100 mila dollari, solo 1000 superano il milione di dollari e 130 sono sopra i 5 milioni di guadagni all’anno.

Confronto guadagni musica

Con un ascolto in Streaming all’artista va un centesimo di euro per ogni volta che una canzone viene ascoltata dagli utenti online. Per guardagnare qualcosa servono milioni di click e a fronte di pochissimi artisti di successo ricchi, su un totale di 8 milioni artisti presenti sulla piattaforma, la maggioranza guadagna pochi euro all’anno. Ma prima le cose come andavano?

Facciamo un confronto tra streaming e vari supporti e metodi di distribuzione o di utilizzo delle musiche di passato e presente. Con il dowload di mp3 gli artisti guadagnano da 11 a 16 centesimi di euro per ogni download e all’autore va meno di un centesimo. Con la vendita di cd e album ogni volta che qualcuno acquista un disco in negozio all’artista vanno da 1,17 euro a 1 euro e 60 per ogni album venduto, all’autore 92 centesimi.

Un passaggio in radio di tre minuti sul maggiore network nazionale inglese della Bbc genera circa 68 euro da dividere tra etichetta e artisti. Per ogni concerto le star della musica ricevono da 86 mila euro a oltre 2 milioni di euro per grandi concerti negli stadi, poi ci sono i concerti delle feste private. Nei programmi tv si guadagnano da poche centinaia di euro dei sottofondi a decine di migliaia di euro se la canzone è usata come sigla di un programma tv.

Per le colonne sonore di film si possono ricevere oltre 100 mila euro da dividere tra artista e casa discografica. Per le musiche degli spot si arriva anche a 300 o 400 mila euro e oltre per i diritti di utilizzo di una canzone famosa nell’ambito di una campagna pubblicitaria nazionale. Dipende dal peso dell’artista e se la musica è ceduta in esclusiva per un marchio. Merchandising e sponsorizzazioni possono fruttare molto ai grandi artisti, anche oltre mezzo milione di euro per unire canzone e immagine a marchi di abbigliamento, gioielli, profumi e bevande.

Denaro in diritti d’autore

Quando si parla di musica e denaro il diritto d’autore è un tema controverso, un pò perchè la gente non sa di cosa si tratti e un pò perchè alla fine per l’uomo della strada conta pagare le canzoni il meno possibile o ascoltarle gratis. In ogni caso il il copyright è una specie di brevetto su melodie, spartiti, testi e registrazioni musicali legato ai compositori per tutta la vita e successivamente agli eredi per altri 70 anni.

ll diritto d’autore permette a cantanti e musicisti di avere un certo controllo sull’utilizzo delle proprie opere. E’ una forma di tutela sulla creatività che dovrebbe valere per tutti gli artisti ma che serve soprattutto ad arrotondare il reddito di artisti semi sconosciuti che in passato hanno contribuito alla nascita di canzoni di successo. Ovviamente i maggiori guadagni in diritto d’autore lo fanno etichette ed editori musicali che hanno in catalogo i successi delle star internazionali.

I diritti pagati dallo streaming ai musicisti sono ancora una volta molto più scarsi rispetto ad altri supporti, in proporzioni diverse per grandi e piccoli cantanti. Sulle cronache qualche anno fa é finito il caso di ‘Wake Me Up!’, canzone cantata da Avicii e risultata la più ascoltata in assoluto su Spotify e 13 esima su Pandora. Il suo coautore, con oltre 168 milioni di ascolti in streaming negli Stati Uniti, ha racimolato ‘solo’ 12 mila dollari. Potete scoprire facilmente quanto guadagnano i musicisti online su sul calcolatore di audiam.

Quanto guadagna un cantante?

Tra vendite e diritto d’autore la rivista Information Is Beautiful ha fatto un calcolo su come un artista possa raggiungere un salario minimo mensile di 1260 dollari, al cambio attuale 1172 euro. Insomma uno stipendio che serve forse a sopravvivere, ma ancora al lordo di tasse e contributi. Si parte dai supporti fisici e tradizionali e si passa alla musica online tra download e streaming. I dati sono estrapolati facendo una media tra i vari servizi presenti sul mercato e sono abbastanza impressionanti.

Per superare i mille euro di guadagno si va dal dover vendere un minimo di 105 copie di cd fino ad avere bisogno di 4 milioni e 500 mila click sui video di YouTube. Cosa non impossibile per un giovane talento animato da passione, ma nemmeno facile. Uno su mille ce la fa? Se lo stanno chiedendo in tanti e se le star più ricche più che dischi oramai vendono profumi, anche le istutuzioni economiche e governative sono coinvolte nel trovare soluzioni.

L’America è il più grande mercato discografico al mondo e non può che assumersi la responsabilità di fare qualcosa. La legge statunitense fino ad ora prevedeva che ad artisti ed editori finisse circa il 10,5% delle entrate lorde delle società di streaming per ogni ascolto. Il Copyright Royalty Board composto da giudici nominati dal Congresso americano, ha stabilito che il tasso dovrà aumentare fino al 15,1% nei prossimi cinque anni.

Pur partendo da cifre ridicole, si tratta di un aumento del 44%. E’ già qualcosa, ma non basta. Il Music Modernization Act è un altro insieme di leggi che il governo americano ha pensato in tema di royalties, pagamento e tracciamento dei diritti, per sbloccare i contenziosi in essere. Editori e artisti non dovranno più ricorrere agli avvocati e a spese legali per discutere ad esempio sui mancati incassi.

Pubblico musica e denaro

Mentre musicisti, etichette e governi discutono di sostenibilità economica e di transizione di modelli di business, cosa ne pensano gli ascoltatori e il pubblico dei guadagni degli artisti? Sanno che dal rapporto tra musica e denaro dipende anche la qualità dell’offerta musicale e che senza soldi i tormentoni commerciali sono destinati a prendere il sopravvento? Sanno che la musica gratis veicola principalmente marketing e merchandising e non emozioni?

La stragrande maggioranza di ascoltatori non lo sa o non considera il problema prioritario. Chi non acquista musica abitualmente ha ancora in mente lo stereotipo anni ’80 e ’90 del musicista fancazzista ricco o ben pagato. Secondo un recente sondaggio realizzato da MIDiA Research solo il 15% delle persone è sensibile alle difficoltà economiche incontrate dagli artisti e solo il 4% è molto d’accordo sulla necessità di trovare soluzioni alternative e condivise per l’acquisto di musica.

Musicisti, sociologi e pensatori sostengono che in un mondo dominato dai grandi numeri dell’usa e getta, la cultura sia destinata a perdere di influenza. Cultura sviluppo e innovazione sono però strettamente correlati alla qualità della vita delle persone, sia dal punto di vista economico che etico morale. Parlare di musica e denaro può non piacere, ma se le canzoni diventano click e i musicisti semplici influencer alla fine tutti avremo molto da perdere e ben poco da guadagnare.