Ragazza stufa di lavorare troppo

Lavorare troppo per ambizione, necessità o status fa sempre male. Il lavoro flessibile è la soluzione per migliorare produttività e benessere dei lavoratori? Il capitalismo digitale alle prese con la richiesta di più tempo libero e maggior qualità della vita

Lavorare troppo è l’altra faccia della medaglia di una società basata sul capitalismo digitale che mette al primo posto incertezza e lavori sottopagati. Se essere disoccupati è sicura causa di stress e disturbi, non se la passa meglio chi è costretto a troppo lavoro e ore di straordinari per fare quadrare i bilanci. Ma si può essere sempre indaffarati anche per scelta, status o addirittura per piacere rischiando seri problemi di salute.

Lavorare troppo fa male alla salute specie in chi è impegnato in attività autonome e non è nemmeno detto faccia bene all’economia. A parità di mansione svolta meno ore di lavoro significano più tempo libero e maggior denaro in circolazione nel sistema economico. La flessibilità è la via per stimolare il mercato del lavoro, produrre di più con minor fatica e vivere meglio e più felici? Da essere vittime di workaholic, pandemia e smartworking nelle aziende hanno causato dimissioni a catena e aperto nuovi dubbi sull’intero sistema della produttività.

Indice

Lavorare troppo per necessità

In una società basata sul consumo e sull’apparenza dove la ricchezza diventa fede più che ambizione legittima di miglioramento, è facile che l’equazione più lavoro più felicità prenda il sopravvento. Workaholism è la parola che descrive bene l’ubriacatura da troppo lavoro che secondo alcuni studi colpisce l’8% dei lavoratori. Peccato che questa forma di dipendenza di natura ossessiva a lungo andare possa avere serie conseguenze sulla salute.

Qualsiasi impiegato è a rischio di lavorare troppo senza distinzione di genere e livello, ma il fenomeno interessa maggiormente manager, imprenditori, artigiani e liberi professionisti. Personalità con un’elevata motivazione al successo e al perfezionamento in un contesto lavorativo esigente sono i più esposti alla dipendenza da troppo lavoro per il carico di responsabilità a cui sono sottoposti quotidianamente.

In determinati contesti lavorativi e sociali capita che passioni, ambizioni e ossessioni viaggino paralleli. Forti aspettative in ufficio possono diventano fonte di stress e ansia. Gli impiegati a rischio di lavorare troppo hanno un capo che richiede impegno e risultati senza possibilità di fallire. Se smartphone e smartwork rendono sempre disponibili e promettono massima reperibilità con email, messaggi e comunicazioni, staccare la spina e prendersi anche solo un attimo di pausa è sempre più difficile.

Lavorare troppo per status

Esistono anche meccanismi psicologici che inducono l’uomo ad annegare qualsiasi pensiero con una overdose di lavoro. Oltre ad avere un capo esigente, si può lavorare troppo per scelta. Se c’è chi esagera con le ore in ufficio per necessità, c’è chi ostenta il super lavoro come status cadendo nella tirannia della modernità che con l’uso della tecnologia prevede stili di vita sempre più frenetici e competitivi.

In America il fenomeno del lavorare troppo riguarda i più ricchi anche se recenti studi di economisti sostengono che ciò non produca più crescita e benessere. Il filosofo inglese Bertrand Russel aveva già affrontato l’argomento un secolo fa parlando di capitalismo. Nel saggio Elogio dell’Ozio del 1932 sosteneva come quattro ore di lavoro fossero più che sufficienti per garantire alla popolazione necessità e comodità elementari della vita. Il restante tempo libero lo si sarebbe potuto dedicare ad attività gratificanti per l’anima e lo spirito, come l’arte e la scienza.

Non aveva torto dato che i benefici dell’arte sulla salute umana oggi sono scientificamente provati. Ma a quei tempi non c’erano il calcio in tv e i social a catturare l’attenzione delle masse nel tempo libero, guarda caso per ridurli a semplici consumatori. Come sostiene la sociologa Jude Wajcman nel suo Pressed for time (La tirannia del tempo – Treccani), invece oggi deleghiamo i momenti ricchi di significato alla tecnologia e all’intelligenza artificiale in un meccanismo perverso che oltre a togliere senso all’esistenza induce stress da lavoro.

Rischi da troppo lavoro

Lavorare troppo non solo non genera più sviluppo e benessere sociale, ma causa una serie di sintomi di disagio psicologico, depressione, ansia, insieme al declino delle funzioni cognitive e a disturbi del sonno. Secondo una ricerca della University of College di Londra chi passa troppo tempo lavorando lamenta vari disturbi tra cui insonnia, cattiva digestione, mal di testa e molto altro.

Relazioni personali e familiari scadenti sono inevitabili e si aggravano con il passare del tempo. Chi soffre di workaholism generalmente sviluppa forme più o meno gravi di ansia e depressione. Stiamo parlando di persone che lavorano oltre 41 ore settimanali, in maggioranza donne che lavorano, con casi di incidenza doppi in particolare in chi lavora oltre le 11 ore al giorno rispetto alla media di 7-8 ore. I dipendenti con orario di lavoro flessibile sarebbero meno a rischio.

Soffre maggiormente di depressione da troppo lavoro chi ha impieghi a basso reddito con livello professionale basso. Peggiorano la situazione altri fattori spesso presenti sui posti di lavoro come fumo, alcol e stress che rappresentano un miscuglio micidiale per la salute in generale. Una ricerca pubblicata su Lancet, svolta su 600 mila lavoratori negli ultimi 8,5 anni, indica che il rischio di ictus in chi lavora oltre le 55 ore a settimana è addirittura del 33% più alto rispetto a chi lavora 35-40 ore.

Il fattore di rischio da ictus aumenta in maniera direttamente proporzionale alla mole di super lavoro svolto: da 41 a 48 ore a settimana aumenta del 10%; da 49 a 54 ore lo aumenta del 27%, oltre le 55 ore del 33%. Per infarto e problemi coronarici aumenta del 13%. Il 12% della popolazione occidentale sarebbe a rischio con nazioni come la Turchia in testa (40% della popolazione supera le 50 ore settimanali), e Olanda all’ultimo posto l’1% di lavoratori impegnati in super straordinari.

Lavoratori in malattia

Solitamente chi entra nel circolo vizioso della sindrome del troppo lavoro non riesce ad interromperla da solo ma ha bisogno di un aiuto esterno. Al pari dell’alcolismo è necessaria una terapia psicologica individuale mirata per indagare le diverse cause del malessere e valorizzare la persona. Bisogna adottare delle strategie di comportamento per ingannare la mente e distoglierla dai modelli sclerotizzati. Meglio concentrarsi su se stessi, sulla propria vita privata e riappropriarsene.

Il problema é così diffuso che in America esiste dal 1983 il gruppo workaholics Anonymous con sedi in tutto il mondo. Si tratta di gruppi di aiuto che condividono anche su internet le loro esperienze per trovare un sostegno per andare avanti cercando di migliorare la propria ossessione da troppo lavoro. Perché non bisogna dimenticare che lavorare meno non fa solo bene al benessere, ma anche alla produttività.

I lavoratori dipendenti italiani stanno a casa dal lavoro per malattia una media di 17,71 giorni all’anno. Certo non esattamente pochi, ma ciò che colpisce è la strana propensione ad ammalarsi nel weekend. Lunedì risulta essere il giorno nero, con il 30,7% delle assenze in ufficio, in fabbrica o a scuola. Forse troppi bagordi nel fine settimana o lavori in casa usuranti? Sta di fatto che eecondo una ricerca realizzata dalla Cgia di Mestre ogni anno i giorni di lavoro persi complessivamente sono circa 100 milioni.

Ore di lavoro e produttività

Esiste una quantità ideale di ore di lavoro in grado di soddisfare sia la salute che la produttività? Difficile stabilire una regola generale per tutte le nazioni. Paragonando Germania e Grecia ad esempio, a fronte di un Pil maggiore del 70% dei tedeschi, i greci lavorano 600 ore in più all’anno, 2000 ore contro 1400 ore. Stessa cosa se paragoniamo Messico e Corea del Sud con i paesi scandinavi.

Se questi dati indicano come la produttività, intesa come punti di PIL per ora lavorata, non sia proporzionale alle ore di lavoro, in America è altrettanto vero che lavorare meno ore sia una prerogativa dei più poveri. Cosa cambia? Un certo tipo di cultura che premia la costanza e il merito, ma a fare la differenza è anche il tipo di lavoro. Nelle nazioni con la qualità della vita più alta esistono le migliori condizioni anche di occupati con posto fisso e stabile che hanno obiettivi chiari a lunga scadenza.

Sarà per questo che i dati OCSE dei paesi più sviluppati indicano come dal 1990 ad oggi le ore di lavoro siano già in generale diminuizione. Che si possa essere produttivi senza stress lo sostiene anche Alex Soojung-Kim Pang, consulente in Silicon Valley e studioso all’Università di Stanford. Nel libro intitolato Rest: Why You Get More Done When You Work Less dimostra come lavorare meno possa incrementare creatività e produttività dei dipendenti.

Pang é arrivato a queste conclusioni dopo essere stato colpito dai sintomi classici del burnout, patologia che comprende vari disturbi a carico di chi esagera con lo stress per gli impegni di lavoro. Da lì in poi ha capito che l’equazione più ore di lavoro, maggiore produttività, era sbagliata. É vero piuttosto il contrario perchè questa sindrome annienta la creatività che è la nostra arma migliore per produrre di più.

Flessibilità del nuovo lavoro

Per essere più produttivi bisogna inserire il lavoro in una routine quotidiana che preveda più hobbies e sport e meno ore in ufficio. La parola d’ordine è flessibilità e dato che molte attività lavorative possono essere svolte fuori ufficio, nelle migliori aziende le ore passate in ufficio anche se tante sono alternate con altre attività. Altre società consentono di limitare la reperibilità con email e messaggi la sera perchè per essere più produttivi bisogna dormire bene e non fare lavorare la mente anche di notte.

La pandemia ha destabilizzato il mercato del lavoro e gli stessi lavoratori sono sempre più consapevoli della qualità della vita, tanto che alcuni scelgono non solo di non essere più “workaholic”, ma di rinunciare del tutto anche a ruoli e stipendi prestigiosi per cambiare vita. Il fenomeno del “Great Resignation”, delle grandi dimissioni sta interessando molte aziende in America ma anche in Europa ed in Italia.

I lavoratori oggi hanno maggior potere nel chiedere condizioni migliori e non solo dal punto di vista retributivo. Secondo l’Edelman Trust Barometer che studia la fiducia tra organizzazioni, aziende e lavoratori, i dipendenti di ogni genere e livello  oggi giudicano i comportamenti dell’azienda non solo in termini economici ma anche dal punto di vista della sostenibilità sociale. Due anni dopo l’inizio della pandemia 12,7 milioni di americani hanno abbandonato il lavoro con una mobilità mai vista prima.

Ci sono infermieri, operai, autisti o adetti alle mansioni più faticose che sbattono la porta perchè giudicano l’impiego malpagato e pericoloso in epoca Covid, ma ci sono anche insegnanti, impiegati e molte figure professionali di alto livello in ambito tecnologico che se ne vanno dalle aziende sicuri di trovare un posto migliore. La sfida delle grandi aziende è attrarre a sè i migliori talenti sulla base di nuovi parametri e di una nuova cultura d’impresa che non mette più il capitale sopra tutto ma valori etici e qualità della vita.

Lavorare in piedi fa bene

Se proprio non si riesce a lavorare meno, è il caso di trovare il sistema per non peggiorare la salute, ad esempio lavorando in piedi. Si chiama standing desk la tendenza che dalla Silicon Valley si diffonde negli uffici di tutto il mondo e non è un caso. Stare seduti per ore davanti al computer causa mal di schiena e annebbia il cervello ed è un vero pericolo per la salute, tanto che in America è perfino stato coniato lo slogan “sitting is the new smoking”. Paragonare i danni da fumo da sigaretta allo stare troppo seduti non è un azzardo e tutti gli adulti impegnati in lavori da ufficio non sono immuni da questo problema.

Lavorare in piedi e in continuo movimento non solo fa bruciare più calorie, ma fa sentire più attivi e anche la produttività ne trae vantaggi. Anche Google, Facebook ed alcune grandi aziende, da sempre attente alla qualità sul lavoro, hanno accolto a braccia aperte questa nuova tendenza. Per quanto riguarda la produttività, i risultati di uno studio condotto dalla Health Science Center Texas A & M University in un call center, hanno mostrato già nel primo mese il 23% di risultati in più, mentre le chiamate di successo sono aumentate addirittura del 53% dopo 6 mesi rispetto ai colleghi seduti.

Precedenti ricerche hanno rilevato una maggiore autostima e anche un miglioramento cognitivo. Oltre alla produttività e ai benefici sul cervello, la ricerca sostiene che lo standing desk stanno riduca di 1,6 ore il tempo seduti alle scrivanie. Questo comporta molti vantaggi per la salute riducendo rischi di obesità, malattie cardiache e diabete. Basta poco per organizzare una piattaforma lavorativa in standing desk: togliere le sedia (magari lasciare un piccolo sgabello nelle vicinanze se si vuole fare una breve pausa), alzare i tavoli e il computer e gioco è fatto. Addirittura alcuni pensano di mettere un tapis roulant, ma forse è un pò eccessivo, dato che stando in piedi si possono bruciare 400 calorie in più al giorno.