
La cultura é un patrimonio personale, sociale e morale ma è anche una importante risorsa di sviluppo economico. Qual è il ruolo della conoscenza e il valore della creatività nel generare benessere, lavoro e ricchezza nella società?
Se esiste un termine che rappresenta bene le contraddizioni della società contemporanea è la parola ‘cultura’ che deriva dal verbo còlere, coltivare, ovvero prendersi cura. É un concetto che fin dal tempo degli antichi romani ha riguardato la filosofia, l’educazione e gli stili di vita dei popoli. Si può infatti coltivare il sapere ma anche lo spirito, il fisico la ricchezza, la libertà o la consapevolezza.
La cultura è un modello di comportamenti e abitudini sociali che creano l’identità personale e comprende il rapporto con la conoscenza, l’arte, la musica ma anche con i valori morali. Per questo nelle culture delle nazioni ci sono storia, tradizioni, religioni, costumi, cucina, architetture, arte e musica. C’è una cultura occidentale, orientale, latina e africana e poi quella contemporanea in continua evoluzione e strettamente legata allo sviluppo economico delle nazioni.
Indice
- Significato di cultura
- Consumi culturali
- Competenze italiani
- Industria della cultura
- Valore della creatività
- Cultura e sviluppo economico
- Musica e sviluppo economico
- Favorire la cultura in Italia
Significato di cultura
Il termine cultura si presta a vari significati: processo di arricchimento personale, stile di vita di un popolo o di un gruppo, attività di approfondimento che riguarda la conoscenza, il sapere i libri e l’arte. Inutile negare che negli ultimi tempi questo termine non sia un granchè di moda, forse perchè le logiche di mercato hanno fatto in modo che in ogni campo l’uomo qualunque sostituisse l’intellettuale, il colto e il preparato, o forse perchè cultura ha mille significati diversi di cui ognuno vorrebbe appropriarsi.
Di certo la cultura italiana è un bene e un tesoro comune da preservare comunque e ad ogni costo come dice l’articolo 9 della Costituzione che prevede la ‘tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione’. Investire in cultura, arte e creatività al giorno d’oggi però non è semplice perché i governi fanno cadere i tagli della crisi economica sulle risorse destinate ad istruzione, musica, arte, teatro e cinema.
Se il popolo non ama la cultura passa il principio che i consumi culturali non possano generare sviluppo economico e ricchezza nella popolazione intera, ma piuttosto essere passatempi di lusso per élite. Chi vive di cultura è obbligato a giocare in difesa, sottolineando come la ricchezza di arte, musica e sapere non abbia solo una valenza economica, ma riguardi il benessere sociale e la qualità della vita delle persone.
La verità è che la cultura comprende parole come educazione, istruzione, ricerca, conoscenza. Riconoscerne il valore è l’unico modo per fuggire dal cinismo imperante della società creando identità, benessere e sviluppo. Uno sviluppo economico che non è una semplice somma algebrica di redditi procapite destinato al consumo. Gli indicatori di benessere di una nazione sono fatti anche di arte, musica, ambiente, sensibilità e rispetto.
Consumi culturali
Secondo un rapporto realizzato da Federculture, il 38,5% della popolazione italiana non partecipa a nessuna attività culturale (in ampie fette del paese la percentuale arriva all’82%). Oltre un terzo dei cittadini non legge nemmeno un libro, non va mai in biblioteca, cinema, nè visita alcun museo, chiesa o sito archeologico. La spesa totale in consumi culturali degli italiani è comunque di oltre 70 miliardi di euro, ma solo il 6% delle famiglie italiane spende circa 130 euro al mese tra libri, cinema, teatro, musica, contro l’8,5% della media europea.
L’Italia è uno dei paesi in cui si legge meno al mondo. Per fortuna negli ultimi anni c’è una lievissima crescita nella lettura di libri per bambini e ragazzi. I cittadini sembrano invece avere scoperto internet, mezzo che sfruttato opportunamente potrebbe offrire spunti interessanti. Gli italiani lo utilizzano per leggere notizie da varie fonti (58%), frequentare i social (50%), ascoltare musica (30%). Il 90% dei cittadini é abilissimo nell’utilizzare app come WhatsApp, Google, YouTube, Facebook e via dicendo, per postare ogni genere di messaggio.
La fruizione della cultura varia molto anche in Europa, con paesi come Svezia, Danimarca e Olanda in cui circa il 40% dei cittadini ha una vita culturale intensa. In realtà le persone che hanno forti legami con musica, libri, cinema, teatro, ballo e arte sono sempre meno. Si può dare la colpa alla tecnologia che rende tutto più semplice o all’uso degli smartphone che occupano giornate intere più o meno inutilmente, ma il fenomeno é più complesso.
Secondo le interviste di Eurobarometro la mancanza di cultura degli europei è dovuta a poco tempo (44%), scarso interesse (50%) o problemi economici (25%), mentre Il 10% dei cittadini sostiene che non sia disponibile una scelta di contenuti adeguata. L’Italia, prima in consumo di tv giornaliero, secondo una indagine realizzata dalla Commissione europea su accesso e partecipazione culturale, é al sest’ultimo posto in Europa preceduta da tutti i grandi paesi europei e davanti solo a Irlanda, Lussemburgo, Portogallo, Cipro, Grecia.
Competenze italiani
Le conseguenze dei bassi consumi culturali non sono solo economiche ma anche sociali e si riflettono sulla vita delle persone in ogni ambito scolastico, professionale o politico. Per valutare le competenze cognitive e lavorative degli adulti dai 16 ai 65 anni ogni 10 anni viene realizzato uno studio dell’Ocse denominato PIAAC (Programme for the International Assessment of Adult Competencies) su 24 Paesi di Europa, America e Asia.
I risultati vedono l’Italia ottenere risultati ben al di sotto della media sul piano delle competenze alfabetiche e matematiche. Oltre un terzo degli italiani fatica a gestire e affrontare problemi di natura economica e a sfruttare le tecnologie e internet interpretando informazioni, grafici e dati in modo corretto. I problemi aumentano per la fascia dei 16 – 24 enni che non studiano e lavorano che in Italia sono oltre 2,2 milioni.
Il 52% della popolazione italiana non fa nulla per incrementare la propria cultura a fronte di una media Ocse del 24%. Spesso ci si lamenta di una classe politica assente su questi temi, quando invece andrebbe migliorato il sistema scolastico, favoriti investimenti nei settori ad alta innovazione per aumentare competenze e concorrenza. Il libero mercato reale non potrebbe che favorire l’economia.
Invece l’Italia è prima in classifica come siti patrimonio dell’Unesco ma al penultimo posto per spesa pubblica destinata alla cultura: solo l’1,4% contro una media del 2%, peggio solo la Grecia. I fondi destinati alla cultura sono lo 0,31% del Pil contro lo 0,43% dell’Europa. In Francia è lo 0,68% con un ritorno economico sette volte superiore. Stesso discoro per quanto riguarda ricerca e innovazione tecnologica. Eppure le immense risorse del nostro paese, se meglio amministrate, potrebbero essere decisive per la crescita economica competitiva dell’Italia.
Industria della cultura
L’industria della cultura in Italia genera 46,8 miliardi di euro, di cui 40 riferiti direttamente alla invenzione e produzione di opere e servizi culturali e creativi. Tanto per smentire chi ancora oggi pensa che ‘con la cultura non si mangia’, è una cifra superiore a telecomunicazioni (39 miliardi) e appena inferiore all’industria automobilistica (49 miliardi). Le persone che lavorano nel settore della creatività sono circa 850 mila, il 3,8% dei lavoratori italiani che muovono complessivamente il 2,9% del PIL.
I creativi veri e propri sono circa la metà, mentre la restante parte dei lavoratori impegnati nel settore culturale svolge attività di tipo tecnico amministrativo. In alcuni settori (musica, pubblicità, arti visive e videogiochi) chi vive di ‘sole idee’ è in proporzione maggiore. Se in testa ai settori più remunerativi ci sono televisione, arti visive e pubblicità, per quanto riguarda i comparti che occupano più persone ci sono arti visive, musica e arti performative con oltre 150 mila occupati.
In regioni come la Lombardia le imprese culturali, oltre 15 mila nel solo capoluogo, producono un valore aggiunto di quasi 15 miliardi di euro dando lavoro a un cittadino su dieci. Milano è diventata un importante luogo dell’economia della conoscenza e tra le città meglio classificate in ricerche internazionali come la Cultural and creative cities monitor elaborata dall’Unione Europea analizzando 168 città di 30 paesi.
In pochi anni Milano ha cambiato volto diventando una irresistibile attrattiva per start up, giovani creativi in cerca di opportunità professionali e per milioni di turisti italiani e stranieri. Se da un lato cresce l’offerta di spazi espositivi come i musei civici, dall’altro aprono nuovi spazi privati come il Mudec (Museo delle Culture) oppure la Fondazione Prada e l’Armani Silos. Manifestazioni e festival di ogni genere, spesso gratuiti come Piano City o il Fuori Salone attraggono in modo trasversale pubblico di ogni età ed estrazione.
Valore della creatività
Secondo uno studio di Italiacreativa il valore della creatività ha un potenziale enorme diviso tra architettura, libri, radio, arti performative, musica, televisione e home entertainment, arti visive, pubblicità, videogiochi. Fondazione Symbola sostiene che la cultura in Italia dia lavoro a 1,5 milioni di persone, oltre il 5% dei lavoratori italiani, ma non solo. Muove interessi per circa 90 miliardi di euro producendo il 5% della ricchezza nazionale, più del settore energetico o di quello dell’auto.
Considerando anche l’indotto il valore del settore culturale sale a 250 miliardi, ovvero il 16,7% della ricchezza nazionale, con un 18% di forza lavoro. In primo piano da un punto di vista economico troviamo i settori del cinema, televisione, musica, editoria e videogiochi, ma anche l’architettura e il design. Si tratta di un made in Italy ricco di idee e talenti che vedono Veneto, Marche, Friuli Venezia Giulia, Lazio e Toscana tra le regioni più attive sul fronte delle industrie culturali.
Infine la ricerca sottolinea l’enorme potenziale del turismo culturale che in Italia é costituito da 24 milioni di persone, per un pubblico totale nei musei di oltre 53 milioni di persone. Secondo una ricerca del Boston Consulting Group l’impatto sullo sviluppo economico dei soli musei italiani statali, che rappresentano il 10% dell’offerta museale complessiva italiana, è di 27 miliardi di euro, ovvero l’1,6% del Pil, con una offerta di lavoro per 117 mila persone.
Secondo il World Cities Culture Finance Report le città che investono risorse nella Culture Finance oltre ad arricchirsi sul piano economico, beneficiano di un valore aggiunto sulla società e negli stili di vita delle persone che va ben oltre la creazione artistica, letteraria, musicale, architettonica.
Cultura e sviluppo economico
Il settore culturale allargato a moda, arte contemporanea e alle produzioni video e multimediali è in rapido sviluppo. La simbiosi tra creatività e comunicazione é destinata ad aumentare in futuro e il rapporto tra consumi culturali e sviluppo economico sempre più stretto. In un mercato concentrato sulle emozioni, nel marketing non è più il prodotto ad essere al centro nelle dinamiche aziendali, ma la percezione che ne ha il pubblico.
Le nuove tecnologie consentono di fruire in ogni momento di nuovi contenuti: chi saprà produrli nel modo più convincente è destinato ad avere buone prospettive nel mondo del lavoro. Investire in cultura è una scelta vincente anche per le nuove generazioni alla ricerca di sbocchi professionali remunerativi e gratificanti. Le specializzazioni universitarie creative potranno addirittura scavalcare le vecchie lauree, un tempo blasonate da un punto di vista professionale ma oggi decisamente inflazionate.
Le tradizionali fonti di crescita e benessere socio economico non sono più sufficienti a rappresentare e promuovere sviluppo, innovazione e nuovi posti di lavoro. La creatività favorisce i consumi culturali, occupa molte più persone di settori come la moda e il lusso o la stessa industria automobilistica, ma in proporzione alla forza lavoro rende molto meno. La sfida è ridurre questo gap, incrementando il valore economico a livello dei paesi europei più sviluppati, ovvero al 3,1% per un 3,5% del prodotto interno lordo.
Musica e sviluppo economico
Le opportunità di sviluppo economico legate alla cultura riguardano ovviamente anche la musica, che può servire a definire l’identità di una città aumentandone la coesione sociale, o essere uno strumento per incrementare il turismo e creare nuovi posti di lavoro. Creare città music friendly non richiede necessariamente forti investimenti, ma si tratta di favorire le comunità di musicisti locali, creare leggi semplici per regolamentare la musica live che semplificano la vita burocratica ad artisti, produttori, impresari, pub, locali e imprenditori, piuttosto che offrire alloggi a prezzi accessibili per gli appassionati.
Una buona politica per creare città a misura di musica prevede anche un occhio di riguardo per pubblico, che deve accedere ai luoghi dedicati alla musica con facilità e potere trovare generi di nicchia, musicisti locali e artisti internazionali di livello sia in piccoli club che in festival musicali. Sforzi che sarebbero vani senza un pubblico consapevole, educato da un punto di vista musicale e con una precisa identità. Ancora una volta sarebbe compito della politica creare programmi di educazione musicale accessibili e aperti a tutti, magari a partire dalle scuole dell’obbligo.
Se tutto ciò si verificasse non sarebbe solo una buona occasione per le case discografiche che vedrebbero incrementare il pubblico per i concerti dei propri artisti. Probabilmente anche le vendite di dischi aumenterebbero e i proprietari dei piccoli locali di musica live potrebbero vendere qualche birra in più migliorando la qualità della vita delle persone. Senza considerare che un pubblico incentivato ad uscire di casa per godere di buona musica è anche un pubblico che spende in altri beni e servizi.
Favorire la cultura in Italia
La cultura è un forte mezzo di coesione sociale e partecipazione che investe ogni settore della società senza limiti di appartenenza socio economica. In Italia più che altrove purtroppo sembra che questa parola venga da troppo tempo più o meno consapevolmente ignorata da governanti scaltri dalla corta prospettiva storica. La crisi e la pandemia peggiorano le cose, il taglio di fondi statali e la mancanza di incentivi può mettere l’industria creativa con le spalle al muro.
Tutti fotografano, registrano, scrivono, producono cose anche indescrivibili, sentendosi fotografi, registi, scrittori, produttori e cantanti. Eppure mai come oggi si sente il bisogno di una cabina di regia capace di interpretare e aiutare lo sviluppo delle potenziali creatività basate su passione e conoscenza, le uniche forme di cultura in grado di favorire uno sviluppo sociale ed economico basate su merito e talento.
Invece la parola cultura è sempre più scomoda, antipatica o insignificante. Per favorire lo sviluppo economico culturale sarebbe innanzitutto necessario che le istituzioni avessero piena consapevolezza delle potenzialità di crescita del settore. Ciò andrebbe a tutto vantaggio anche di chi si occupa di formazione: maestri e insegnanti sono i primi protagonisti di tutta la filiera della creatività. Per aumentare la percezione del valore della cultura è necessario garantire ai lavoratori della creatività gli stessi diritti e doveri degli altri settori professionali.
Lavoratori autonomi e start up dovrebbero essere molto più incentivati e aiutati, così come la formazione di chi si occupa di creatività, favorendo percorsi di studio direttamente all’interno delle aziende. In Italia il solo fatto di volere vivere con le proprie idee invece è sinonimo di precarietà e contratto atipico, quasi come se lo sfruttamento fosse una conseguenza diretta della voglia di esprimere il proprio talento, ad esempio in ambito artistico. Per qualsiasi giovane in cerca di solidi obiettivi di vita risulta difficile non scoraggiarsi in partenza.