
Cosa cambia tra ascoltare canzoni in streaming rispetto ai supporti fisici tradizionali? Se le playlist sostituiscono gli album musicali cambia la capacità del pubblico di interpretare l’estetica dei suoni e il modo di comporre musica
Le canzoni in streaming non sono solo una rivoluzione economica e finanziaria, stanno cambiando anche la musica perchè ascoltare un flusso continuo di canzoni delle playlist, piuttosto che album musicali o brani singoli, è molto diverso sia per il pubblico che per gli artisti. Lo streaming ha conquistato il mercato musicale e secondo gli esperti rappresenta il presente ed il futuro dell’industria musicale, ma come sta cambiando la percezione estetica del linguaggio musicale e il modo in cui viene creato? In questo articolo vedremo come l’evoluzione dei supporti musicali non sia solo una questione di pura tecnica.
Ascoltare canzoni in streaming significa collegarsi ad uno dei tanti servizi online che offrono milioni di brani gratis o a poco prezzo. Basta un click per saltare tra un brano e un’altro ed è difficile resistere alla tentazione di esplorare nuovi mondi sonori, magari solo per pochi secondi. Ma senza aspettare che una canzone arrivi fino alla fine, è possibile apprezzare il bello di note e parole? L’era di internet e del multitasking consente di fare mille cose contemporaneamente ma raramente si approfondisce un discorso. Se nei contenuti testuali si leggono i titoli e si clicca sui link, nell’ascolto di musica cosa cambia tra playlist e vecchi album musicali?
Indice
- Evoluzioni supporti e linguaggio
- Storia album musicali
- Dagli album alle playlist
- L’era delle canzoni in streaming
- Come si ascoltano canzoni in streaming
- Canzoni singoli o album interi?
- Canzoni in streaming orecchiabili
- Minima durata canzoni in streaming
- Scrivere canzoni per lo streaming
- Canzoni in streaming e playlist
- Canzoni in streaming che nessuno ascolta
- Canzoni in streaming irrilevanti
- Ascoltare canzoni irrilevanti
Evoluzioni supporti e linguaggio
L’evoluzione dei supporti musicali spinta dalla tecnologia ha sempre prodotto forti cambiamenti nel mondo della musica, sia dalla parte di chi ascolta, che di chi produce e scrive canzoni. Se partiamo dall’inizio, la capacità di elaborare suoni è stata fondamentale nell’evoluzione umana, ma metterli su un supporto e possederli non è mai stato possibile fino all’invenzione del grammofono, senza il quale non esisterebbe il ruolo sociale, culturale ed economico della musica che tutti conosciamo. Prima della musica registrata tutto aveva origine nel suono degli strumenti pizzicati o percossi dai musicisti e terminava un attimo dopo. Gli spartiti servivano a tramandare un insieme di codici e brani ma non suonavano.
Anche gli album musicali sono una invenzione della tecnologia. Nel senso che è la possibilità di registrare su vinile o cd un insieme di brani ad avere offerto agli artisti la possibilità di narrare una storia completa fatta di musica e testi. I più bei dischi della storia della musica pop o rock sono fatti di tanti capitoli interlacciati tra loro fino a formare un concetto. La possibilità di registrare dischi ha spalancato le porte della musica al mercato e aperto nuove possibilità del linguaggio sonoro agli artisti.
Storia album musicali
La storia degli album musicali è abbastanza recente. Negli anni ’50 e ’60 la musica si ascoltava prevalentemente alla radio. Poi su dischi a 45 giri, con conseguente trionfo di singoli di successo. La raccolta di brani tipica degli album ha avuto la sua fortuna negli anni ’80 e ’90. Di nuovo è stato per merito o colpa della tecnologia, complice della diffusione degli hi-fi nelle case. Con la moda dei totem stereofonici nelle case, ora sostituita a livello di status dai monitor televisivi giganti, era comodo ascoltare tante diverse canzoni in modo continuativo utilizzando giradischi e lettori cd. Oggi basta un click, all’ora bastava premere un pulsante.
Nel periodo del boom musicale gli artisti più famosi sfornavano uno o due album all’anno. Un vero tour de force creativo che spesso non aiutava la qualità. Ma le vendite come al solito contavano più di tutto. E d’altronde i dischi dei Beatles usciti in quel periodo sono considerati ancora oggi grandi classici. Finita l’era della bulimia di canzoni, negli anni ’70 gli artisti più famosi si presero il lusso di investire più tempo nella produzione degli album. Tra l’uscita di un disco e un altro potevano passare anche alcuni anni. Oggi in mancanza di qualcosa di nuovo da dare in pasto ai fans ogni due giorni, canzone o tweet che sia, il rischio è venire presto dimenticati.
Negli ultimi anni il calo di vendite di album segue l’andamento negativo delle vendite di musica in generale e lo supera in peggio. Più che non scaricare singoli, il pubblico acquista sempre meno dischi e anche gli album musicali degli artisti americani più famosi non decollano. In un anno riescono a vendere un numero di copie che prima vendevano in una settimana. Nei generi più di tendenza, come rap italiano o straniero, si punta principalmente sui singoli. Se hanno successo poi si produce eventualmente un disco, ma se va bene solo 2 o 3 tracce saranno quelle più ascoltate. Per questo motivo le case discografiche, a parte la riproposizione di nuove edizioni di vecchi album storici, tendono a non assumersi il rischio di produrre dischi di nuovi artisti. Meglio prima provare un singolo e vedere cosa succede.
Dagli album alle playlist
Quale musica verrà prodotta senza album? La risposta come sempre la darà il mercato. Ma qui entra in gioco anche la creatività. Come non ricordarsi i concept album rock degli anni ’60 e ’70? Erano dischi a tema che contenevano una storia da guardare e ascoltare. Si tratta di Lp memorabili come Freak Out! di Frank Zappa, anche se il caso più conosciuto riguarda Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles o tanti altri di rock progressive. Oltre all’aspetto artistico e alla capacità di narrazione, i concept album sono stati anche fantastici nel creare identità attorno alle note.
Le playlist hanno questa capacità identitaria? E’ ciò che sperano le etichette discografiche. A dir la verità ciò che lega i brani di queste raccolte è un pò meno efficace e poetico rispetto ai cd. Anche il legame con l’ascoltatore non è basato su vere identità, concetti ideali, voli astratti, ma piuttosto su uno stato d’animo o su una attività. Non c’è una narrazione definita e unitaria di una storia, piuttosto c’è un filo conduttore che unisce tra loro i brani. Alcuni studi dicono come ascoltare musica in streaming sia diverso e produca un ascolto frammentato: si salta da un brano all’altro. Nulla a che vedere con il vecchio modo di ascoltare un album intero. Quasi un libro da sfogliare con amorevole passione.
Viceversa le società che gestiscono i servizi delle canzoni in streaming hanno a disposizione un’infinità di dati sui nostri gusti e con sistemi basati sull’intelligenza artificiale ci propongono ciò che vogliamo. Playlist divise per generi o che vanno bene per ogni momento della giornata, per fare qualcosa o per come ci sentiamo. Sport, relax, studio, lavoro: ce n’è per tutti i gusti, fino all’ora di cena e anche per il dopo. Gli artisti nell’era delle playlist non devono nemmeno più preoccuparsi di fare dischi di un’ora per riempire un cd. Per qualcuno è anche meglio: registrare 12 brani di cui 10 mediocri e 2 belli non serve.
L’era delle canzoni in streaming
Il momento che stiamo vivendo in questi anni anni, con la rivoluzione che parte dagli mp3 fino alle canzoni in streaming per un ascolto online che non si tocca con mano, è solo agli inizi, ma sembra ripercorrere all’incontrario le tappe della storia della musica. I cambiamenti negli ultimi decenni sono stati davvero rapidi. Dall’avvento di internet la smaterializzazione dei contenuti intellettuali e la crisi del concetto di possesso non ha riguardato solo la musica ma anche il cinema, con i film in streaming, l’editoria con gli ebook e i giochi.
Il concetto secondo cui non serve più avere le cose, basta usarle, oggi vale anche per le automobili e una serie di beni veicolati dalla sharing economy. In particolare nel settore musicale il trend anno dopo anno è diventato sempre più ovvio. Così come era scontata la fine del regno di iTunes degli albori come sistema chiuso di distribuzione di mp3 in accoppiata con l’iPod, la stessa fine la faranno i supporti fisici. Le vendite di cd sono destinate a diminuire ancora molto nei prossimi anni, rendendo forse superflui anche gli album: che senso avranno se tutta la musica si ascolterà in streaming?
Ma perdere il senso del possesso fisico delle opere musicali non può che avere forti ripercussioni sul mercato, sul valore economico e sociale della musica ma anche sulla creatività e i contenuti creati dagli artisti. Ad esempio vi siete mai chiesti che fine faranno gli album o come devono essere scritte le canzoni per essere più cliccate? Finita l’era dei supporti musicali fisici, la fruizione della musica digitale online e l’ascolto in streaming sono la negazione di tutto quanto è successo prima.
Come si ascoltano canzoni in streaming
Secondo i dati rilevati da Echo Nest, una società di rilevazione dati acquisita da Spotify, quasi la metà (48,6%) degli utenti del servizio di streaming abbandona una canzone prima della sua fine. Il 25% degli utenti lascia il brano dopo appena 5 secondi per saltare ad un altro brano. I servizi on demand offrono una quantità incredibile di brani e inducono a cambiare spesso saltando da una canzone all’altra, ma non solo. Una ricerca realizzata in Norvegia dall’Università di Oslo ha cercato di approfondire ulteriormente le nuove tendenze d’ascolto dei giovani utenti per capire come si evolverà la fruizione della musica in futuro.
Secondo questa ricerca in un periodo di due mesi gli utenti ascoltano in media 92 artisti diversi. In generale si va dai 30 fino a 200 artisti ascoltati da una stessa persona. Piuttosto che ascoltare singoli brani, si preferiscono album completi. 92 artisti differenti ascoltati in due mesi sono effettivamente molti, sicuramente più di quelli ascoltati con classici supporti come cd o lp. Segno, secondo i ricercatori, di un nuovo modo di usare la musica, in cui l’ascoltatore potrebbe essere più informato e forse anche più capace di scegliere rispetto al passato. O semplicemente più superficiale e distratto.
Abbandonano le canzoni più spesso gli utenti giovani. C’è una spiegazione, dato che saltare ad altri brani è più frequente in chi usa smartphone al posto di pc desktop o tablet. Chi si ritaglia uno spazio per la musica nel tempo libero e si dedica all’ascolto con attenzione, in realtà salta molto più spesso rispetto a chi ascolta Spotify come sottofondo per lavorare, studiare o rilassarsi. Le rilevazioni dicono anche che, passati circa venti secondi, se gli ascoltatori non trovano qualcosa che li soddisfi pienamente, passano ad un’altra canzone.
Canzoni singoli o album interi?
Negli ultimi anni con la diffusione di internet c’è stato un enorme incremento del numero di canzoni proposte al pubblico in ogni forma e su ogni media. È più facile fare e distribuire nuova musica, ma le canzoni ‘durano’ meno e diventa sempre più difficile avere visibilità e vivere di musica. Questa tendenza è confermata anche dalle playlist radiofoniche. Secondo il direttore di una radio norvegese, dalle 40 nuove canzoni a rotazione nelle playlist del 2002, si è passati alle 75 canzoni degli ultimi anni.
L’altro aspetto importante emerso nello studio norvegese è che si ascoltano più brani di uno stesso artista e cioè che il concetto di album non sarebbe a rischio scomparsa come qualcuno aveva previsto. Una percentuale che va dal 60% all’80% degli appassionati non cerca il singolo, ma il nome dell’artista e poi ascolta tutto l’album. La ricerca ha inoltre confermato come l’aumento di visibilità degli artisti tramite festival, concerti e ovviamente trasmissioni televisive, porti ad un incremento notevole di persone disposte ad ascoltare la loro musica anche mediante lo streaming. Insomma tutto cambia per rimanere uguale.
Canzoni in streaming orecchiabili
Certo non sarà un caso se negli ultimi anni si assiste ad una continua involuzione del linguaggio musicale che va di pari passo con l’evoluzione tecnologica. In tempi non sospetti, quando non esisteva la musica registrata, i compositori di musica classica scrivevano movimenti e tempi allargati frutto di un pensiero musicale. Il cd rispetto al vinile è stata una vera rivoluzione anche perchè conteva molta più musica su un singolo supporto. Il compact disc è stato creato con lo spazio sufficiente per contenere tutta la nona sinfonia di Beethoven.
La musica jazz prevede tempi lunghi dato che l’improvvisazione su un brano può durare vari minuti. Ma anche un certo tipo di rock progressive di moda negli anni ’70 e ’80 faceva della lunghezza dei brani una peculiarità. Le canzoni di musica leggera e i brani pop almeno inizialmente tenevano conto di queste regole classiche con arrangiamenti che prevedevano introduzione, strofa e ritornello. Nell’ascoltare in streaming musica tutto ciò non funziona più. Bisogna dare tutto e subito, proprio come in uno spot.
Minima durata canzoni in streaming
Inutile dire che il ‘tutto e subito’ mal si concilia con un approccio estetico più approfondito. Se ciò vale in ogni forma d’arte o d’espressione, figurarsi nella musica, dove le emozioni trasmesse all’uomo sono direttamente proporzionali alla consapevolezza dell’ascolto. Di tutto questo ovviamente non è la tecnologia a doversene (pre)occupare. Basterebbe solo capire quale prezzo stiamo pagando per avere tanta musica a disposizione in modo semplice e gratis.
Ma il problema del tutto e subito non riguarda solo il senso estetico dell’ascoltare in streaming musica, ma anche quello economico. Se già lo streaming non rende quasi nulla agli artisti rispetto a cd e download di mp3, le regole stabilite dai fornitori di servizi online sono ancora più chiare. Le canzoni per produrre qualche guadagno in diritti d’autore – Spotify paga 0,00397 dollari per ogni flusso – devono venire ascoltate dagli utenti online per un minimo di 30 secondi. Altrimenti non vengono conteggiate. Insomma la faccenda ha molti aspetti controversi.
Senza arrivare a parlare di declino cognitivo degli esseri umani indotto dalla tecnologia, mentre tutti parlano di intelligenza artificiale e pochi di quella naturale, i limiti dello streaming sono uno dei motivi che spingono tanta gente e artisti a riscoprire i dischi in vinile. Sul piatto di un giradischi saltare da un canzone all’altra tanto rapidamente non è possibile. E riscoprire la gioia della lentezza e uno dei motivi che rendono bello ascoltare musica.
Scrivere canzoni per lo streaming
Compositori, artisti, musicisti e produttori sono direttamente coinvolti nel fenomeno. Ancora più che per l’ascolto radiofonico, devono produrre canzoni orecchiabili e accattivanti, che riescano a mantenere alto il livello di attenzione. Viceversa è sicuro perdere per strada il pubblico praticamente subito. Non solo i brani devono essere attraenti, ma la loro struttura dev’essere la più semplice possibile. Cosa che spinge verso un rapporto con la musica usa e getta.
I singoli in streaming non creano identità e nemmeno valore di lungo termine e da un punto di vista compositivo esistono precise modalità compositive per ottenere click. Innanzitutto un ascolto viene conteggiato e pagato a compositori e autori dei brani solo dopo 30 secondi di ascolto. Ciò significa che un brano deve essere subito convincente e accattivante, il ritornello orecchiabile deve arrivare prima possibile, senza tante introduzioni strumentali o orchestrazioni. Le canzoni devono poi essere più brevi e dai normali 4 minuti siamo scesi ai circa 3 minuti attuali.
Basta un singolo bello e il successo è assicurato, o quasi. Fino al prossimo tormentone da milioni di click, che sono quelli che servono a guadagnare qualcosa dato che ogni flusso è pagato circa 0,004 dollari. Per gli artisti si tratta quindi di entrare a fare parte di playlist per cui servono fortuna e strategia per catturare l’attenzione di un programmatore umano o di un algoritmo. Ad esempio un musicista deve sapere che è perfettamente inutile fare brani di un’ora di lunghezza perchè verrano pagati allo stesso modo che della lunghezza di di un minuto.
Canzoni in streaming e playlist
La domanda più che mai lecita è quindi questa: oggi hanno ancora senso gli album, sono stati sostituiti dalle playlist musicali o dalle singole canzoni in streaming? La risposta non è semplice. Con milioni di brani a disposizione gratis o quasi, la tentazione di cliccare ovunque senza approfondire prende il sopravvento. Senza supporto fisico è molto più difficile apprezzare fino in fondo una raccolta di brani. Ma spetta anche agli artisti tornare a dare un significato artistico d’insieme all’opera musicale.
Gli album musicali non possono più essere semplici accozzaglie di brani magari mediocri, con un singolo di successo pronto a tirare la volata. Gli artisti devono reinventarsi ritrovando un senso di unicità che ricominci dalla narrazione di una storia fatta di tanti racconti. La tecnologia può dare una mano. In un disco digitale si possono includere video, testi, contenuti esclusivi che si aggiornano dinamicamente. Si può fare interagire l’artista con il pubblico tramite social, chat e live stream. L’album Biophilia di Bjork è stato un primo esempio di disco inteso come progetto multimediale di suoni, immagini, animazioni racchiuse in una App.
Ma senza andare così in profondità e volendo rimanere in superficie, per gli artisti nell’era digitale si aprono anche nuove prospettive. Ci sono società, che hanno preso il posto dei vecchi intermediari come etichette e distributori, che forniscono ai musicisti la possibilità di comunicare direttamente con il pubblico, ma hanno anche le competenze tecnologiche per sapere come monetizzare meglio le canzoni, ottenendo più ascolti e follower. Una cosa è certa: per gli artisti oramai è impossibile vivere di rendita. Il futuro è delle idee, la musica è al loro servizio, la tecnologia anche.
Canzoni in streaming che nessuno ascolta
Nel corso di questo articolo abbiamo visto che ascoltare canzoni in streaming non è solo comodo. Il maggior vantaggio di questo sistema rispetto al download di mp3 o all’ascolto di cd, è potere disporre di un infinito catalogo di brani, presi in prestito per meno di 10 euro al mese. Questo è anche l’unico motivo che dovrebbe spingere la gente ad abbonarsi. Ma davvero interessa a qualcuno tanta musica o il pubblico per un motivo o per un’altro ascolta sempre le stesse canzoni?
Le canzoni in streaming che nessuno ascolta sono definite dall’industria musicale ‘brani irrilevanti’. Sul significato di ‘irrilevante’ in realtà ci sarebbe molto da dire, ma l’analisi che tempo fa ha realizzato MIDiA Research non voleva concentrarsi sui contenuti artistici e nemmeno sui 4 milioni di brani mai ascoltati una volta. Secondo questo studio l’irrilevanza di una canzone consiste nell’essere poco ascoltata, cosa che capita al 95% dei brani presenti nei cataloghi dei servizi in streaming.
Canzoni in streaming irrilevanti
Quello delle canzoni in streaming irrilevanti non è un problema da poco. Spingere gli abbonamenti è l’unica strada che l’industria musicale ha intrapreso per ridare valore alla musica. Spotify ad esempio ha 87 milioni di abbonati paganti, contro 113 milioni che ascoltano musica gratis in cambio di pubblicità. Secondo la ricerca difficilmente gli utenti free potranno essere attirati dai milioni di brani disponibili, semplicemente perché non li ascolteranno mai.
Perchè gli utenti dovrebbero spendere 9,99 euro al mese per un servizio che in larga parte non usano? Se solo il 5% delle canzoni in streaming è regolarmente ascoltato, per i ricercatori un modo per attirare nuovi utenti premium potrebbe essere abbassare drasticamente i prezzi. Tutti sarebbero disposti a pagare 3 o 4 euro al mese, magari per un servizio che comprenda solo qualche decina di artisti o album di una determinata nicchia. Alla fine probabilmente sarebbero in molti ad abbonarsi e la perdita di valore verrebbe immediatamente compensata dai nuovi abbonamenti.
La ricerca sottolinea come l’obiettivo dell’industria musicale dovrebbe essere espandere il più possibile il mercato, mentre al momento l’ingresso di nuovi concorrenti, come Apple Music o YouTube Music, mira a solo rubare utenti, che già pagano un abbonamento mensile. Questo grafico di Midia Research riassume bene la situazione.
Ascoltare canzoni irrilevanti
Se Spotify e le canzoni in streaming oramai sono entrate a far parte della nostra vita insieme allo smartphone, anche senza considerare i lamenti delle case discografiche e degli artisti che guadagnano poco, qualcuno si è comunque posto il problema dei 4 milioni di brani che nessuno ha mai ascoltato. Perchè non fare un motore di ricerca per i brani mai riprodotti?
Forgotify si basa proprio su un database di canzoni in streaming che non sono state ascoltate nemmeno una volta. Un solo ascolto le cancella da questo servizio, ovviamente non da Spotify. Inoltre i brani sconosciuti non sono catalogati per genere o artista, cambiano casualmente. Il catalogo delle canzoni zero-play o dei cosiddetti brani irrilevanti contiene di tutto: musica lirica moderna, inni di chiesa strumentali, melodie popolari, dischi di improbabili cantanti anni ’60.
Evidentemente ci sono artisti o etichette che non hanno mai ascoltato nemmeno una volta la propria produzione, o verosimilmente cataloghi messi online dalle case editrici ad insaputa degli stessi artisti. Comunque sia basterà un solo click per fare uscire queste canzoni dal limbo dell’ignoto. Una bella responsabilità non c’è che dire, ma se ci proverete sarà anche una esperienza emozionante e nello stesso tempo divertente. Non mancherete di imbattervi in vere chicche che mai avreste immaginato di potere ascoltare nella vostra vita.